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 Trattato di alchimia. La pozione dell’eterna giovinezza. Di William Palace Della Brunetta

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GianLupo

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MessaggioTitolo: Trattato di alchimia. La pozione dell’eterna giovinezza. Di William Palace Della Brunetta   Trattato di alchimia. La pozione dell’eterna giovinezza.  Di William Palace Della Brunetta Icon_minitimeMar 23 Nov 2010, 17:29

Trattato di alchimia. La pozione dell’eterna giovinezza.
Di William Palace Della Brunetta.



Potete visionare copertina e parti del libro semplicemente aprendo queste parti:

Copertina del libro

Prima Parte

Seconda Parte

Terza Parte

Quarta Parte

Quinta Parte

Sesta Parte

Settima Parte

Ottava Parte

Nona Parte

Decima Parte

Undicesima Parte



Premessa


Prima di inoltrarci nel discorso puramente scientifico dell’oggetto, vorrei raccontarvi di alcuni importanti avvenimenti, di non molto tempo fa, che fecero sì che mi avvicinassi allo studio di questa complicata disciplina. L’alchimia. Materia praticamente inesistente all’interno delle mie conoscenze, e tanto lontana, da quelli che potevano essere i miei interessi e i miei diletti. Ciò non di meno il fato, ha voluto che percorressi questa strada comunque.
Una notte, durante uno dei miei viaggi a nord, mentre percorrevo uno stretto sentiero, all’interno della foresta vicino alla città di Venezia,vidi un uomo correre verso di me, dritto davanti a me, con aria supplichevole, chiedeva aiuto perché (almeno così diceva), fuggiva da briganti inseguitori. Insomma, mi prese a pietà, e mi offrii di aiutarlo. Lo trascinai per un braccio, fuori dal sentiero, e rimanemmo nascosti dietro ad un grosso tronco d’albero, inarcato forse da un fulmine. Passati che ebbero i briganti, ritornammo per il sentiero principale e le nostre strade si divisero. Lui andava dalla parte opposta alla mia. Ci salutammo, mi ringraziò un infinità di volte e riprendemmo il cammino, ognuno per conto proprio. Solo dopo molto camminare, mi accorsi che mi era rimasta in mano la sua borsa, mi girai per vedere se lo sbadato viandante, si fosse accorto del disguido, ma non vidi nessuno. Rimasi in attesa fino all’alba, fermo nello stesso punto, ma del viandante nessuna traccia. A quel punto, decisi di riprendere il viaggio. Venezia mi aspettava.
Ah Venezia… inutile stare qui a descriverne le bellezze, ma quella mattina che ci crediate o meno, era ancora più bella del solito. Il sole splendeva in cielo riflettendo sulle parti luccicanti delle imbarcazioni dei vari barcaioli che si cominciavano a vedere sin dal mattino presto. Non avevo ancora aperto la borsa del viandante, non ne ebbi subito curiosità, non era molto pesante e non pensavo certo di trovarci dentro una fortuna. Infatti, niente oro e niente cibo. Trovai solo degli incartamenti, che sul momento non ebbi manco cura di leggere, firmati “Conte Di San Germano”. Portai comunque la borsa con me, che era di pregiata fattura, e riposi al suo interno gli incartamenti. Quello a Venezia, fu un lungo soggiorno per me, ed ebbi dunque il tempo di scoprire, pian piano, quanto sto, adesso, per raccontarvi.
La mattina stessa del mio arrivo, in città arrivò notizia che, nella notte un uomo sarebbe stato ucciso da dei briganti nella foresta. Più tardi, qualcuno, asserì con certezza che si trattasse proprio del Conte Di San Germano, ovvero l’uomo che io avevo incontrato. Mi parve di riconoscere tra questi proprio uno degli inseguitori di quella notte. Dapprima mi stupii a veder proprio colui che aveva commesso il fatto, spifferare a destra e a manca l’accaduto. Poi man mano che passarono i giorni il mistero si rivelò, non senza riservarmi qualche sorpresa. Non starò qui a tediarvi raccontandovi delle mie rocambolesche investigazioni, perciò verrò al dunque raccontandovi soltanto ciò che ho scoperto.



CAPITOLO I

-Il Conte di San Germano.


Nei giorni seguenti all’accaduto, mi recai come molti altri, alla residenza del Conte a portare il mio cordoglio ai familiari. La residenza in effetti era vuota, non c’erano più mobili e la servitù raccontava agli avventori, che la famiglia si trasferì qualche giorno prima della morte del Conte. A quel punto mostrai il manoscritto, che avevo portato con me nell’intenzione di restituirlo alla famiglia, ad un servitore. Era il più giovane tra tutti, e alla vista del manoscritto il suo volto tradì una certa tensione. Mi rispose di tenerlo. Poi proseguì dicendo che, se il Conte lo aveva dato a me un motivo ci doveva essere, e nessun altro avrebbe potuto prendere quel manoscritto. Da allora il manoscritto rimase sempre con me, e ancora lo conservo nella mia biblioteca personale.
Ad ogni modo, dopo varie peripezie, scoprii il segreto del Conte di San Germano.

Conte di san Germano, o meglio, questo era l’ultimo nome conosciuto. Pare che fosse un personaggio decisamente misterioso, un alchimista e personaggio di rilievo alla corte di Francia.
Nulla si sa delle sue vere origini. Le sue attività erano quelle di cortigiano in viaggio tra Inghilterra, Francia, Olanda, Russia, Germania. Famoso per la sua grande cultura, abile musicista, conoscitore di molte lingue, pittore e soprattutto grande alchimista, produttore di portentosi cosmetici. Ebbe anche incarichi diplomatici e fu affiliato ad una società segreta dell'ordine dei Rosacroce. Alcune sue caratteristiche più stravaganti, come quella di sparire all'improvviso e di riapparire contemporaneamente in più luoghi, insieme alla sua attività protratta per molti anni, se non per secoli, indussero addirittura alcuni a pensare che non si trattasse di un'unica persona, ma di un di gruppo di individui con lo stesso aspetto e la stessa identità esterna introdotte presso le corti. alcuni parlano apertamente di "morti inscenate", indicandole come una pratica "comunemente" usata in certi ambienti per uscire di scena. Del resto tutto ciò che riguarda il conte di San Germano sembra indissolubilmente legato al mistero, e forse un po' anche alla fantasia, o piuttosto provenire da più arcani poteri e segreti iniziatici. Secondo la leggenda egli avrebbe trovato il segreto della pietra filosofale, per cui, a detta di molti, non invecchiava mai e poteva trasformare il piombo in oro e ingrandire le gemme. Quello che avevo in mano erano i suoi appunti di Alchimia.



CAPITOLO II

-L’alchimia.



Conoscevo pressoché nulla di questa scienza. Eppure il servitore del Conte, mi parlò di una credenza comune, seconda la quale se uno scritto di alchimia ti capita tra le mani accidentalmente, vuol dire che l’alchimia ha scelto te. Nominandoti, suo cavaliere in nome della scienza.
Tornato a Pontecorvo, adibii subitamente una stanza, nei sotterranei del mio maniero, a laboratorio alchemico. Iniziai a leggere molti libri cercando tra essi la risposta a quei simboli, che ancora non sapevo interpretare, contenuti nel manoscritto del Conte.
Dalle mie letture appresi che l’alchimia infondeva una sorta di causa metafisica alla trasmutazione di una sostanza in un'altra. Come se non bastasse il principio organico intrinseco alle sostanze stesse. Appresi anche dei tre grandi obbiettivi dell’alchimia:

- conquistare l'onniscienza.
- creare la panacea universale, un rimedio cioè per curare tutte le malattie, per generare e prolungare indefinitamente la vita
- trasmutare i metalli in oro o argento.


La pietra filosofale, sostanza di tipo etereo (che potrebbe essere una polvere, un liquido o una pietra), era la chiave per realizzare questi obiettivi


La trasmutazione dei metalli di base in oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir o quintessenza o pietra dei filosofi o tintura rossa) simboleggia un tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell'esistenza. Gli alchimisti credono che l'intero universo stia tendendo verso uno stato di perfezione, e l'oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, è considerato la più perfetta delle sostanze. E’ anche logico pensare che riuscendo a svelare il segreto dell'immutabilità dell'oro si potrebbe ottenere la chiave per vincere le malattie ed il decadimento organico; da ciò l'intrecciarsi di tematiche chimiche, spirituali ed astrologiche che sono caratteristiche dell'alchimia.



CAPITOLO III

-I primi esperimenti.



L'opus alchemicum per ottenere la pietra filosofale avveniva mediante sette procedimenti, divisi in quattro operazioni, Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e Sublimazione, e tre fasi, Soluzione, Coagulazione e Tintura.
Attraverso queste operazioni la "materia prima", mescolata con lo zolfo ed il mercurio e scaldata nella fornace (atanor), si trasformerebbe gradualmente, passando attraverso vari stadi, contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione.
Il numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è legato al significato magico dei numeri.
I tre stadi fondamentali sono:
· Nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;
· Albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;
· Rubedo o opera al rosso, che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi;


I tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la nigredo, l'albedo e la rubedo erano rispettivamente simboleggiati dal corvo, dal cigno e dalla fenice.
Quest'ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio del "nulla si crea e nulla si distrugge", tema centrale della speculazione alchimistica.
Inoltre, è sempre la fenice a deporre l'uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare.
Quindi adesso sapevo bene COME lo dovevo fare. Ma mi mancava ancora COSA dovevo fare.


CAPITOLO IV

-La pietra filosofale.


La pietra filosofale (in latino lapis philosophorum o "pietra dei filosofi") è, per eccellenza, la sostanza catalizzatrice simbolo dell'alchimia, capace di risanare la corruzione della materia. La pietra filosofale sarebbe dotata di tre proprietà straordinarie:
1. fornire un elisir di lunga vita in grado di conferire l'immortalità fornendo la panacea universale per qualsiasi malattia;
2. far acquisire l'"onniscienza" ovvero la conoscenza assoluta del passato e del futuro, del bene e del male (cosa che spiegherebbe anche l'attributo di "filosofale");
3. la possibilità infine di trasmutare in oro i metalli vili (proprietà che ha colpito maggiormente l'avidità popolare).
Molte leggende tuttavia, attribuiscono a tale elemento altre proprietà, o ne sottraggono alcune. Alcune speculano anche sul fatto che l'elemento in realtà non debba essere forzatamente solido e che esso sia una polvere rossa molto densa o addirittura un materiale giallastro simile all'ambra.
Ciò non vuol dire che la pietra filosofale fosse l'oggetto di semplici leggende, di visioni utopiche, o di desideri avidi: l'oro infatti era ricercato soprattutto per essere utilizzato come catalizzatore nelle reazioni chimiche (per portare a termine le trasformazioni), essendo inoltre apprezzato da sempre come l'unico metallo conosciuto in grado di restare inalterabile nel tempo.
Poiché anticamente si pensava che gli elementi dell'universo fossero formati della stessa sostanza primigenia, assolutamente identica in tutti ma presente in proporzioni diverse, appariva lecito supporre che tali proporzioni potessero essere variate dall’azione di un agente catalizzatore (la pietra filosofale) capace di riportarli alla loro materia prima. La maggiore o minore presenza di quel composto originario era ciò che determinava appunto le loro mutazioni.
Per ottenere la pietra filosofale pare si dovesse adoperare un forno speciale denominato athanor.


CAPITOLO V

-L’Athanor.



Non trovai nessun accenno a questo particolare forno in nessuno dei libri che consultai nelle varie biblioteche. Pare che i vari studiosi si fossero fermati lì con le loro conoscenze. A questo punto, entrò in gioco il manoscritto del Conte che pare invece sull’athanor abbia avuto le idee più chiare. Egli sosteneva che il Significato dell'Athanor non è quello di un comune forno in cui cuocere i metalli, "non è un forno della specie di quello dei chimici"; esso "di cui i filosofi hanno un gran segreto" altro non è che lo spirito umano, dove avvengono realmente le 'combustioni' e arde il Fuoco Segreto. Attraverso la forma del forno con i suoi involucri, piani e vari strati non si vuole dare altro che una metafora semplificata del complesso delle qualità mentali, spirituali e fisiche dell'individuo, le trasformazioni delle quali lo condurranno al conseguimento della Pietra Filosofale.
L'alchimista inoltre rispecchiava il proprio spirito nell'athanor: infatti l'athanor era in grado di "bruciare" le impurità di un metallo impuro quale il piombo sino a renderlo oro, e così l'alchimista doveva essere in grado di liberarsi dei propri "peccati" purificandosi e studiando sino a divenire luce e maestro alchimista.
L'athanor, come il laboratorio, rappresentavano un microcosmo, la semplificazione dell'universo in una stanza e l'athanor simboleggiava il sole, appunto il fuoco eterno.

CAPITOLO VI

-L’immortalità.


Sempre dagli appunti del Conte, appresi anche che la pietra filosofale non era in grado di donare l’immortalità. Tutta al più riusciva a rendere incorruttibile un corpo e quindi ad evitarne l’invecchiamento, in alcuni casi anche a combattere alcuni mali come la polmonite ad esempio. Nulla può però contro una morte violenta, né ti può proteggere nel caso in cui qualcuno voglia tagliarti la gola o peggio la testa.


CAPITOLO VII

-Gli ingredienti.


Con gran sorpresa, nelle ultime pagine scritte dal Conte, trovai la formula della pietra filosofale. Il Conte l’aveva trovata, e dunque dovevano essere anche vere quelle voci che correvano su di lui. La gente diceva che avesse duecentotredici anni, e che avesse inscenato almeno cinque o sei morti durante la sua vita in posti diversi del mondo, per poi riapparire poco dopo da qualche altra parte. Ad ogni modo ecco la formula che trovai:

- 66 monete d’oro da trasmutare allo stato liquido.
- Una manciata di Crocus sativus, più comunemente conosciuto come zafferano.
- Polline di Ambrosia artemisiifolia dal quale ricavare un fluido per distillazione.
- Un secchio, di quelli utilizzati per mungere le vacche, pieno di polpa di bruco.
- Una scodella di pesto di mosche e sardine.
- Un tronco di legno.
- Due chili di acciaio.
- Una pelle di pecora.

Ed infine… il vuoto. Proprio così mancava l’ultimo ingrediente, a dire il vero mancava proprio una pagina intera nel manoscritto del Conte. Dunque non sono riuscito a conoscere per intero la formula.

Conclusione.
E’ giunto il momento di rivelare lo sviluppo dei miei studi in materia. Gli esperimenti che ho condotto non sono numerosissimi, a causa del fatto che oltre a dover trovare l’ingrediente segreto, anche il reperire i restanti ingredienti costa fatica. Ad esempio devo recarmi nei vicini Abruzzi se voglio trovare dello zafferano. Oppure vi lascio immaginare la fatica e il tempo che ci vuole per riempire un secchio con la sola polpa dei bruchi da sbucciare uno per uno.
Quello che vi posso dire per certo è che quello che dobbiamo ottenere (la pietra filosofale) altro non è che una polvere. Questa disciolta nel vino si trasmuta in un elisir di lunga vita.
Non ho ancora trovato la formula definitiva ma nei miei esperimenti falliti ho provato con i seguenti ingredienti:
-Carcassa di mucca
-carcassa di maiale
-gomitolo di lana (crea effetti indesiderati)
-farina
-acqua
-mais
-grano (crea effetti indesiderati)
-verdura

A parte i due che hanno creato effetti indesiderati, gli altri non hanno prodotto un bel nulla.
Pertanto chiunque voglia avvicinarsi alla scienza è invitato ad eseguire magari esperimenti per conto proprio, in modo da poterli poi confrontare ed escludere a vicenda. Se siamo in tanti potremo trovare velocemente l’ingrediente mancante.

Fine

William Palace Della Brunetta.
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